1. Follow-up coppie
La ricerca nell’ambito della Terapia di Coppia è un terreno fertile ma controverso. Le poche ricerche sull’efficacia della terapia di coppia in setting clinici confermano solo parzialmente i risultati ottenuti nei trials di ricerca strutturati, indicando che la terapia di coppia è efficace nel miglioramento del distress relazionale e dei sintomi dei partner, ma l’effetto medio varia tra moderato e lieve (Halford et al., 2015; Klann et al., 2011; Sprenkle, 2003).
Nel confronto tra i risultati delle ricerche strutturate e quelle nei setting clinici un dato che accomuna tutti gli studi pubblicati, e limita significativamente l’efficacia dell’intervento (e quindi l’effetto medio della terapia di coppia), è l’elevato tasso di abbandoni prematuri o drop-out registrati nei setting clinici (Doss et al., 2012; Klann et al., 2011; Lundblad & Hansson, 2006).
Gli abbandoni prematuri possono produrre effetti negativi sui partner dove perdura distress e insoddisfazione relazionale, ma anche sugli altri protagonisti coinvolti, il terapeuta o la struttura in cui questo opera o, allargando ulteriormente la visuale, lo stesso sistema sanitario (Swift & Greenberg, 2012; Bartle-Haring et al., 2012; Björk et al., 2009; Barret et al., 2008; Cahill et al., 2003; Wierzbicki & Pekarik, 1993).
Tuttavia, in letteratura assistiamo all’assenza di una definizione univoca su cosa sia il drop-out e quando un’interruzione può essere considerata drop-out (Masi et al. 2003; Peparik, 1985). Può capitare ad esempio che il terapeuta considera fallita una terapia che invece è per i pazienti conclusa con successo (Lampropoulos, 2010; Barrett et al., 2008).
Cambiamento e obiettivi terapeutici sono la stessa cosa? Come intervengono gli eventi di vita sul mantenimento o l’abbandono della terapia stessa? Agli occhi di un paziente quali sono gli elementi efficacia di un terapeuta?
La ricerca sul follow-up muove i suoi passi proprio su queste e altre domande. La ricerca è volta a esplorare il punto di vista dei pazienti che hanno seguito una terapia di coppia presso il Servizio Clinico di Psicoterapia della Coppia dell’Accademia di Psicoterapia della Famiglia di Roma.
Ai partner che hanno accettato di partecipare, è stata proposta un’intervista semi-strutturata appositamente costruita.
I risultati mostrano un accordo tra i partner rispetto alla sensazione di aver raggiunto un beneficio dal percorso terapeutico anche se non sempre erano stati raggiunti i personali obiettivi con cui ciascuno aveva intrapreso la terapia. È il caso delle coppie che iniziavano la terapia con due obiettivi divergenti, dove magari un partner voleva separarsi e l’altro invece mirava alla ricostruzione del rapporto.
Tra gli elementi di importante risorsa rintracciati dagli intervistati vi sono aspetti riguardanti il modello specifico adottato dall’equipe operante nel servizio e altri trasversali alle caratteristiche del terapeuta. Nel primo caso, citiamo ad esempio la coterapia uomo-donna: la possibilità per i pazienti di rispecchiarsi in una coppia terapeutica rappresenta una risorsa preziosa con cui confrontarsi e rispetto alla quale potersi affidare. Ma fanno parte del modello anche alcuni aspetti teorici, come l’importanza data alla fase della convocazione dei figli o delle famiglie d’origine: momenti delicati che spesso fanno timore ma carichi di potenziali trasformativi senza eguali.
Non possiamo considerare esaustivi i risultati raggiunti con questa ricerca che, anzi, ha aperto numerosi altri quesiti, tuttavia la possibilità di ascoltare le parole di chi ha vissuto in prima persona l’esperienza di una terapia offre sempre inestimabili rimandi che uno psicoterapeuta dovrebbe sempre avere la curiosità di conoscere.
Curiosità. Al seguente link è possibile acquistare l’articolo Noi terapeutico e noi di coppia: processi in divenire, pubblicato sulla rivista di Terapia Familiare, a cura dell’equipe coppia del Servizio Clinico di Psicoterapia della Coppia dell’Accademia di Psicoterapia della Famiglia di Roma. https://www.francoangeli.it/Riviste/SchedaRivista.aspx?IDArticolo=61264&idRivista=68&titolo=noi+terapeutico+e+noi+di+coppia%3a+processi+in+divenire
2. La Terapia di Coppia: L’alleanza Terapeutica e i Processi di Rottura e Riparazione
Capita di imbatterci in articoli di ricerca che parlano di terapie, valutazioni, efficacia ma che come terapeuti ci sembrano distanti anni luce dalla nostra pratica clinica quotidiana. Del resto, nella pratica clinica difficilmente il terapeuta ha controllo delle molteplici variabili intervenienti, il numero di sedute è variabile da un paziente all’altro, il modello di intervento quasi mai è rigido, e in ultimo spesso si registrano drop-out e abbandoni prematuri (Halford et al., 2015; D’Aguanno et al., 2016; Snyder et al., 2012, 1991; Sprenkle, 2003; Jacobson & Addis, 1993).
Questo è vero anche per la ricerca sull’efficacia della Terapia di Coppia: gli studi condotti in setting clinici confermano solo parzialmente i risultati ottenuti nei trials di ricerca strutturati (Halford et al., 2015; Klann et al., 2011; Sprenkle, 2003). La terapia di coppia è efficace nel miglioramento del distress relazionale e dei sintomi dei partner, ma l’effetto medio nei setting clinici risulta inferiore e varia tra moderato e lieve.
Ciò che potrebbe spiegare questo bias è l’elevato tasso di abbandoni prematuri o drop-out registrati nei setting clinici (Doss et al., 2012; Klann et al., 2011; Lundblad & Hansson, 2006).
Sentimenti negativi e scarsa disponibilità verso il partner e la relazione incrementano il rischio di drop-out (Masi et al., 2003), ma allo stesso tempo un abbandono prematuro limita l’efficacia dell’intervento e produce effetti negativi su partner, familiari e terapeuta (Swift & Greenberg, 2012; Klein et al., 2003). Oltre a ciò, la natura multidimensionale e complessa dell’outcome nella terapia di coppia rende difficile la definizione a priori di un obiettivo raggiunto (Horvath et al., 2010): miglioramento nell’adattamento di coppia o miglioramento nel funzionamento individuale ma interruzione della relazione?
La ricerca nell’ambito della terapia di coppia rappresenta, dunque, un terreno fertile ma controverso, e la valutazione dei fattori che intervengono nel mantenimento della terapia vs le interruzioni precoci sembra rappresentare una scelta opportuna nel tentativo di studiare le terapie di coppia in setting clinici (Snyder & Halford, 2012; Horvath et al., 2010).
In questa cornice teorica si è inserito il progetto di ricerca portato avanti dall’APF Ricerca, con obiettivo la valutazione delle differenze tra le terapie concluse e quelle interrotte con coppie che facevano domanda di terapia per un problema inerente alla relazione (tradimento, ipotesi di separazione, conflittualità, ecc). Il focus è stato lo studio dell’alleanza terapeutica e i processi di rottura e riparazione dell’alleanza.
L’Alleanza Terapeutica (AT) rappresenta l’aspetto della relazione paziente-terapeuta più studiato dalla letteratura di riferimento, e significativamente associato con il mantenimento della terapia (Escudero, 2015; Knobloch-Fedders et al., 2007; Smerud & Rosenfarb, 2011; Bartle-Haring, et al., 2012; Friedlander et al., 2011; Muñiz de la Peña, et al., 2009; Friedlander, et al., 2006). Nell’ambito della terapia di coppia, abbiamo pochi studi sull’alleanza e ancor più scarsi sono i contributi sullo studio della qualità dell’alleanza nei suoi processi dinamici e interattivi delle rotture e delle riparazioni.
La ricerca si è basata sull’analisi delle sedute videoregistrate di processi terapeutici conclusi. La tipologia di conclusione si è basata sul giudizio clinico: il terapeuta doveva indicare se si trattava di una terapia (Bartle-Haring et al., 2012):
- conclusa in accordo: terapeuta e pazienti considerano raggiunto l’obiettivo e concordano la conclusione della terapia;
- concluse in disaccordo: i pazienti comunicano al terapeuta la decisione di concludere anche se quest’ultimo ritiene utile continuare la terapia;
- no-show: coppie che non si sono presentate all’appuntamento stabilito e il terapeuta fallisce nel tentativo di mettersi in contatto con loro.
Le sedute sono state analizzate con due strumenti:
- SOFTA-o (Friedlander, Escudero, & Heatherington, 2001). Versione osservazionale per la rilevazione della forza dell’AT basata sulla codifica di sedute videoregistrate da parte di giudici esperti. Il costrutto dell’Alleanza sottende quattro dimensioni: Coinvolgimento nel processo terapeutico, Connessione Emotiva con il terapeuta, Sicurezza nel sistema terapeutico, Senso di uno Scopo Condiviso all’interno della famiglia.
- Collaborative Interaction Scale – CIS-r (Colli & Lingiardi, 2014). Sistema che permette di valutare i processi di rottura e riparazione dell’AT a partire dai trascritti, dall’audio o dai video delle sedute di terapia individuale. Basandosi sulle concettualizzazioni di Safran e Muran (1996), lo strumento è composto di due parti: una relativa ai processi collaborativi o di rottura del paziente, la seconda relativa ai contributi, positivi o negativi, del terapeuta. A questa è stata affiancata la Scala Coppia: appositamente costruita per i processi di rottura e riparazione specifici delle terapie congiunte di coppia: scambi terapeuta-coppia e scambi tra partner.
La ricerca ha previsto diverse fasi:
- Validazione italiana del SOFTA-o: back to back translation, Face Validity, Known group validity e Interater reliability;
- Costruzione della Scala coppia: studio della letteratura sulle rotture e riparazioni sia nella terapia individuale sia nella terapia congiunta; prime applicazioni sperimentali; invio di una prima versione della scala a terapeuti esperti nel trattamento delle coppie chiedendo loro un feedback sia rispetto gli indicatori comportamentali individuati sia rispetto a eventuali comportamenti non presi in considerazione; modifiche, prime applicazioni e definitive modifiche. La versione ultima della scala risulta composta da 13 marker specifici degli scambi tra partner e 11 marker indicativi degli interventi del terapeuta rivolti al sistema coppia;
- Analisi dell’Alleanza Terapeutica: Il SOFTA-o è stato applicato alle prime 10 sedute di ogni terapia. Per i processi più lunghi l’analisi si è incentrata sulle prime 10 sedute e la seduta conclusiva. Sono state analizzate un totale di 256 sedute: 110 di terapie concluse in accordo, 73 di terapie concluse in disaccordo, 73 di terapie no-show.
- Analisi dei processi di Rottura e Riparazione: La CIS-r e la Scala Coppia sono state applicate alla prima e ultima seduta di ogni terapia. Sono state analizzate un totale di 68 sedute: 20 di terapie concluse in accordo, 24 di terapie concluse in disaccordo, 24 di terapie no-show.
Conclusioni: La richiesta di una terapia di coppia non è un compito facile. Le emozioni negative che ruotano attorno alla crisi della relazione intima, impediscono ai partner di vedere al di là del proprio risentimento, il passaggio alla responsabilità è ostacolato dall’idea di una colpa, il terapeuta è spesso insignito del ruolo di giudice. La coppia arriva in terapia considerando quello spazio “l’ultima spiaggia”, il problema presentato difficilmente si presta a compromessi e comprensione reciproca tra i partner, che attribuiscono a sé e all’altro il ruolo di vincente e perdente in termini assoluti (Horvath et al., 2010; Rampage et al., 2002). Il terapeuta deve destreggiarsi tra l’individualità dei partner con le loro personali sofferenze e parti di verità, e la creazione di nessi partendo dai vecchi fili della trama della storia di coppia, per arrivare ai nuovi nodi e significati che favoriscono una condivisione (Andolfi & Angelo, 1987). I tentativi del terapeuta di accompagnare la coppia verso una motivazione congiunta che va oltre la dicotomia tra vinti e vincitori, facilitare una comunicazione libera da difensività per permettere di toccare la propria sofferenza e conoscere quella del partner, chiede alla coppia il difficile compito di affidarsi al terapeuta per affrontare un percorso doloroso e, a volte, lungo.
Nella coppia, il perdurare di insoddisfazione, gli elevati livelli di conflittualità e distress, aumentano il rischio di effetti negativi sulla salute psicologica, fisica e sociale dei partner, ma anche dei familiari coinvolti – in particolare i figli (Whisman, 2007; Snyder, 2012; Krishnakumar, 2000). Spesso la scelta dei partner è una rottura definitiva del legame con la richiesta di separazione. Ma quando questa non è accompagnata da una separazione psicologica, il rischio è trasformare un cambiamento, da opportunità a terreno di guerra e battaglia tra ex-coniugi e famiglie allargate.
Per queste ragioni, è importante rivolgere l’attenzione delle ricerche sui processi con le coppie in crisi, al fine di identificare elementi utili alla riflessione sui fattori che intervengono nel mantenimento della terapia.
La validazione del SOFTA-o (Friedlander et al., 2001) rappresenta un contributo importante nel lavoro di ricerca sulle terapie congiunte in Italia. Lo strumento offre importanti riflessioni sull’alleanza terapeutica e i contributi che i terapeuti apportano alla costruzione e al mantenimento di questo speciale aspetto della relazione con i pazienti.
La capacità dei clinici di distinguere tre diversi tipi di conclusione della terapia sembra riflettere differenze nelle coppie e differenze nei contributi dei terapeuti. Le terapie No-show rappresentano il gruppo con le criticità maggiori nei livelli di alleanza. Le terapie concluse in Disaccordo sembrano collocarsi in una condizione intermedia tra le terapie no-show e le terapie concluse in accordo.
Se è vero che l’alleanza intrafamiliare è centrale nel mantenimento della terapia, è vero anche che non necessariamente è un prerequisito essenziale. Infatti, l’arrivo in terapia è caratterizzato per l’assenza o una significativa compromissione del senso di uno scopo condiviso, data la conflittualità e le reciproche accuse di colpa tra i partner, ma ciò che fa la differenza tra le coppie che concludono in accordo e i drop-out, è la capacità delle prime di lavorare per incrementare i punteggi nel tempo.
L’analisi dei processi interattivi e dinamici delle rotture e riparazioni dell’alleanza terapeutica nelle terapie congiunte rappresenta un salto fondamentale in questo campo di ricerca.
Come ci si aspettava dai dati presenti nella letteratura in terapia individuale, le rotture sono più frequenti dei processi collaborativi per i gruppi di drop-out di quanto non venga registrato nelle terapie concluse in accordo.
L’aspetto importante e coerente con i risultati del SOFTA-o, è che fin dalla prima sedute sono più frequenti le rotture verso il terapeuta e non tra i partner. Queste ultime incrementano significativamente alla fine della terapia. Le coppie del No-show fin dall’inizio della terapia avevano un atteggiamento ostile e confrontativo nei confronti del terapeuta, e solo nel tempo si registrava un incremento delle rotture dirette tra i partner. Da parte del terapeuta, si assiste in questo gruppo a una frequenza maggiore di rotture dirette verso i singoli pazienti (ma non alla coppia) di quanto si registri negli altri due gruppi.
La possibilità per il paziente di impegnarsi in un processo di riparazione con il terapeuta potrebbe rappresentare un importante luogo di esperienza da riproporre nella relazione con il partner. È interessante infatti come nel gruppo delle terapie concluse in accordo, sebbene non ci sia una significatività, nel corso del tempo i partner incrementino gli scambi diretti e indiretti tra di loro, riducendo quelli con il terapeuta.
Per entrambi i gruppi di drop-out, nella prima seduta il terapeuta propone pochi interventi basati su una componente interpretativa rispetto a quanto non accada per il gruppo delle terapie concluse in accordo. Questo dato può parlare della difficoltà per i terapeuti a contrapporsi ai tentativi della coppia di usare lo spazio terapeutico come luogo più simile a un tribunale, costringendolo a rimanere ancorato ai fatti.
Parallelamente, la specifica competenza del terapeuta sistemico di proporre ipotesi e letture circolari che portano a una comprensione complessa del problema (Pilling et al., 2010) in cui non c’è più un solo partner che sbaglia e responsabile della crisi, deve essere costantemente supportato dalla generica competenza di favorire la costruzione e il mantenimento di una positiva alleanza individuale con ciascun partner.
In particolare, sembrano centrali le dimensioni affettive dell’alleanza terapeutica. Il terapeuta, in questo senso, deve mantenere un atteggiamento empatico, caldo, accogliente e non giudicante che favorisce nel paziente il sentimento di essere compreso e accettato (Beck et al., 2006; Friedlander, et al., 2006; Rait, 2000; Ackerman & Hilsenroth, 2003; Christensen et al., 1998). Inoltre, gli interventi del terapeuta sono volti a bilanciare livelli di tensione e livelli di calma, assicurare che il conflitto non diventi pericoloso ma nemmeno sedarlo completamente, alternare situazioni di stress tra i partner. Tutto ciò facilita il contatto dell’individuo con il suo personale mondo affettivo ed emotivo, ma anche tra individuo e terapeuta, e soprattutto tra partner nella possibilità per questi di conoscersi nuovamente e scoprire un dolore condiviso, strada maestra per il superamento della crisi (Falcucci et al., 2006).
Al seguente link è consultabile lo Special Issue del Mediterranean Journal of Clinical Psychology, che include l’abstract del contributo di ricerca sulla validazione del SOFTA-o e sulla presentazione della Scala Coppia:
XVII National Congress Italian Psychological Association, Clinical and Dynamic Section, Milazzo 25-27 September 2015: http://cab.unime.it/journals/index.php/MJCP/article/view/1098
XIX National Congress Italian Psychological Association, Clinical and Dynamic Section, Torino 29 Sept. – 01 Oct. 2017: http://cab.unime.it/journals/index.php/MJCP/issue/view/146/showToc
3. Contributo al Convegno
Metodologia, processi e valutazione: percorsi nella ricerca sistemica – SIPPR, Bologna 9 Marzo 2019
Il 9 Marzo 2019, l’APF Ricerca ha preso parte al Convegno organizzato dalla S.I.P.P.R. – Società Italiana Psicologia e Psicoterapia Relazionale, dal titolo “Metodologia, processi e valutazione: percorsi nella ricerca sistemica”.
Il contributo presentato La ricerca e la clinica: Una dialettica possibile tra il nostro passato e il tempo moderno aveva l’obiettivo di presentare l’APF Ricerca ad una platea di colleghi che lavorano su tutto il territorio italiano. In particolare, si voleva sottolineare l’importanza di un dialogo possibile tra clinica e ricerca, grazie alla nascita di quest’organo all’interno dell’Accademia di Psicoterapia della Famiglia. Mentre l’APF si occupa di formazione e di clinica – sia nei gruppi di training con didatti supervisori esperti, sia attraverso il Servizio Clinico composto da équipe di terapeuti professionisti impegnati nel lavoro terapeutico con specifiche tematiche o composizioni familiari (coppia, lutto, bambino, adolescente) – l’APF Ricerca promuove interesse scientifico sulla valutazione dell’efficacia, sulla validazione di strumenti e sull’analisi del processo, grazie alle terapie che accettano di partecipare alle ricerche in corso ma soprattutto a partire dalle domande che nascono nei contesti clinici.
In questo modo la teoria, la clinica e la ricerca sono impegnati in un costante dialogo in cui l’impianto teorico del modello multigenerazionale di Andolfi, con i pionieri di riferimento (Bowen, Williamson, ecc.) trova e dà sostanza ai tentativi di risposta alle domande che la clinica oggi solleva attraverso l’avvio di progetti di ricerca che muovono i passi proprio da queste domande. È qui che il passato – la teoria – incontra il presente – le domande cliniche e la ricerca.
APF Ricerca La ricerca e la clinica: Una dialettica possibile tra il nostro passato e il tempo moderno. SIPPR, Bologna 9 Marzo 2019.